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Farmacie a partecipazione pubblica, Comune può ricapitalizzare per garantire diritto alla salute

Un ccomune ha il diritto di mantenere la quota di partecipazione e ricapitalizzare una farmacia di cui è titolare e socio anche se questa presenta bilancio passivo, poiché tale decisione rispecchia i dettami costituzionali, garantendo un servizio a tutela della salute dei cittadini. E’ quanto deciso dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, che lo scorso aprile  ha rigettato il ricorso di un farmacista, direttore, amministratore delegato e socio minoritario di una farmacia aperta in un Comune della Provincia di Ragusa, e di cui il Comune stesso è socio di maggioranza.
Nel 2006 il Comune in questione ha stabilito di assumere la titolarità della gestione di una nuova farmacia, mediante una società a responsabilità limitata a prevalente partecipazione pubblica (55 %) e, tramite procedura concorsuale, ha scelto il socio privato a cui affidare la partecipazione di minoranza  del restante 45%, il ruolo di direttore di farmacia e di amministratore delegato della società, con un contratto che prevedeva  il pagamento annuale,  da parte della società, del 5% dei ricavi al Comune a partire dal terzo anno di attività, a titolo di corrispettivo per la concessione del servizi.
La controversia si origina con l’analisi del piano operativo relativo al periodo 2012 – 2016, in cui i bilanci annuali risultano attivi tranne quelli relativi alla gestione del 2016, e in ottemperanza ai dettami del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, il Consiglio comunale ha proceduto alla revisione straordinaria delle partecipazioni e, con la delibera n. 43 del 28 settembre 2017,  ha deciso di non alienare la sua partecipazione societaria, bensì  di ‹‹intervenire per riportare la Società partecipata su numeri di bilancio positivi››, ritenendo che ‹‹l’attività di rivendita dei farmaci è volta ad assicurare l’accesso ai cittadini ai prodotti medicinali e, in tal senso, a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale, sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista››.
Il farmacista socio minoritario, non potendo far fronte a un nuovo versamento conseguente alla preannunciata ricapitalizzazione, e temendo di essere escluso dalla compagine societaria, ha quindi presentato ricorso, poi respinto in toto dal T.A.R., contro la delibera del Consiglio comunale e chiesto l’accertamento del proprio diritto all’acquisizione della quota societaria del Comune e della titolarità della farmacia.
Tra le motivazioni addotte dal ricorrente vi era quella che la gestione della Farmacia  non sarebbe strettamente necessaria al perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente, né rientrerebbe nella categoria dei servizi di interesse generale, quali definiti dall’art. 2 del d.lgs. n. 175/2016, piuttosto essa costituirebbe  per il Comune una mera rendita economica, garantita dalla percezione dei ricavi, nonché l’occasione per condizionare la conduzione della società in modo non conforme ad obiettivi di interesse pubblico. La Corte, però ha ritenuto tale censura priva di fondamento, richiamando il secondo comma dell’art. 4 del Testo Unico, in cui sono definite le attività per lo svolgimento delle quali è consentito all’Ente Pubblico costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni, incluse quelle che contemplano la produzione di un servizio di interesse generale, purché si tratti di attività di produzione di beni e servizi strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e ‹‹il Collegio ritiene che non possa nutrirsi dubbio alcuno circa il fatto che il servizio farmaceutico possa rientrare tra le attività strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente comunale. Depongono in tal senso, oltre alle molteplici norme che affidano ai comuni una serie di funzioni in materia sanitaria e di tutela della salute, soprattutto la norma dell’art. 9, comma 1, della legge 9 aprile 1968 n. 475, che prevede che “La titolarità delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica può essere assunta per la metà dal comune”.›› Inoltre, l’insussistenza della necessità di evitare carenze del servizio farmaceutico tali da richiedere l’intervento pubblico, affermata dal ricorrente, è in contrasto con la corrente gestione deficitaria della farmacia.
Quindi il TAR ha ritenuto sufficiente la motivazione addotta dal Comune, ovvero l’esigenza di assicurare ai cittadini l’accesso ai prodotti medicinali al fine di garantire il fondamentale diritto alla salute, ponendo in secondo piano il carattere professionale e le finalità commerciali dell’attività del farmacista. Il Comune, con la decisione di avviare la ricapitalizzazione, ha dimostrato la ferma volontà di assicurare in ogni caso il servizio, al di là dei risvolti commerciali e delle possibili conseguenze del carattere deficitario della gestione, esprimendo, secondo la Corte ‹‹una valutazione che, oltre che ragionevole, appare aderente ai valori costituzionali.›› Infine in merito all’aspettativa del farmacista di esercitare la prelazione nell’acquisto della quota pubblica e ad acquisire la titolarità della farmacia comunale, sia a titolo di concessione, sia a titolo di cessione definitiva, il T.A.R. l’ha giudicata incompatibile con la determinazione dell’Ente di mantenere la partecipazione maggioritaria nella società.