Microplastiche nell’organismo: c’è da preoccuparsi?
In un articolo pubblicato su The Lancet firmato dal biologo Gabriele Sorci dell’Università di Borgogna, Digione (Francia), si affronta un tema che ci riguarda da più di 70 anni: gli effetti della plastica nel nostro organismo. La cosiddetta “era della plastica” è iniziata nella seconda metà del XX secolo, cioè da quando questo materiale è diventato il Dna della maggior parte degli oggetti artificiali prodotti sul pianeta. Da allora sono stati generati almeno 8.300 milioni di tonnellate di plastica, mentre contemporaneamente ne venivano accumulati i rifiuti in mare, nei fiumi, nei laghi e sul suolo terrestre. In base agli attuali ritmi di produzione, si prevede che entro il 2050 saranno gettati nell’ambiente naturale più di 10 milioni di tonnellate di plastica.
La plastica assorbita dall’uomo
La plastica abbandonata sul territorio può danneggiare gravemente la fauna selvatica, per esempio attraverso l’ingestione di oggetti e rifiuti in plastica. È stato documentato che almeno 1.565 specie selvatiche ingeriscono detriti di plastica dispersi nel loro ecosistema. E l’uomo? La plastica viene mangiata o inalata anche dall’uomo? I rifiuti di plastica rilasciati nell’ambiente non si disintegrano mai del tutto ma si scompongono in microparticelle (<5 mm) o nano plastiche (<1 µm). Sempre più studi scientifici, rilevando particelle di plastica nelle feci umane, confermano che anche l’uomo ingerisce abitualmente micro-frammenti di plastica, arrivando in alcuni casi a mangiarne anche migliaia di particelle al giorno.
Dobbiamo preoccuparcene?
Non si tratta semplicemente di elementi inerti che transitano nel nostro organismo per poi essere espulsi come qualsiasi altro rifiuto senza alcun effetto collaterale sulla nostra salute? Purtroppo no, come dimostrato da diversi studi in merito. Ad esempio, è stato accertato che le microplastiche non sono “particelle inerti”, indifferenti alle caratteristiche del nostro organismo. Possono rilasciare additivi, plastificanti, altri composti tossici; possono trasportare microrganismi patogeni resistenti agli antimicrobici; possono interferire con l’integrità della barriera intestinale ed entrare in circolo trasportate dal flusso sanguigno.
Necessari ulteriori studi
Tuttavia ancora non è chiaro se la quantità di microplastiche presenti nei tessuti umani basti a danneggiare la salute, sebbene le particelle più impercettibili, ovvero le nano plastiche, possano facilmente entrare nelle cellule, infiammarle e alterare la loro normale attività operativa. Altri studi hanno rilevato che coloro i quali sono affetti da malattie del fegato accumulano in quest’organo più microplastiche degli individui sani. Come mai? Al momento non è ancora stata data una risposta scientifica a questa domanda, ma si presume che le patologie epatiche stesse favoriscano l’accumulo delle particelle di plastica nella ghiandola epatica. È vero che le microplastiche non innescano da sole un’epatite, pur tuttavia non si esclude che possano contribuire ad accentuarla. C’è ancora molto da studiare e da scoprire nel rapporto tra cirrosi epatiche e microplastiche, ma si può affermare che lo sviluppo di malattie epatiche croniche dipenda in gran parte dal nostro stile di vita, specie dall’alimentazione. La quantità di microplastiche ingerita deriva anche dalle nostre abitudini alimentari (pensiamo agli alimenti altamente trasformati e confezionati, agli imballaggi in plastica, e così via).